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La montagna calda

 

 

 

 

Visto dal satellite, il Vesuvio appare come un vulcano situato nel “parco interno” di una vasta comunità umana. Lo mostrano la figura 1 della NASA e altre immagini visibili sul sito Web SwissEduc . Questa situazione è vissuta più o meno intensamente secondo la distanza, marcata da profonde tradizioni locali il cui spirito supera il passare dei secoli e delle vicende storiche.

Fig. 1. Il Vesuvio visto dal satellite – Immagine NASA – Earth from Space (1996)

I vulcani costituiscono un caso speciale nel rapporto dell’uomo con la Natura. Il terreno vulcanico è fertile e dà sapore speciale a tutto quello che vi è prodotto. Fin dai tempi antichi essi hanno influito sullo sviluppo dell’economia. Basti pensare all’importanza dell’ossidiana nella Preistoria e all’estensione del suo commercio. E al vino del Vesuvio amato al tempo dei Romani. Tuttavia, essi rappresentano un pericolo incombente del quale gli uomini non sempre sono stati coscienti o, allorché lo sono stati,hanno implicato misteri sulla loro natura. Un vulcano – sia esso il Vesuvio, lo Stromboli, o altro – è amato e temuto dalle popolazioni “conviventi”, come lo è il mare dai pescatori e dai veri navigatori. È’ significativo che nelle tradizioni degli abitanti di un’isola-vulcano come Stromboli, esso sia personalizzato chiamandolo “ Iddu ” (Lui, in siciliano). Non c’è da stupirsi che nella Mitologia essi siano associati a divinità, che oggi restino percepibili in antichi riti delle tradizioni popolari.

Natura, Animismo e Mitologia

Fig. 2. L’apparizione degli spiriti naturali del pescheto Fotogramma del fllm Sogni di Akira Kurosawa – Immagine Heart Beats

Nelle antiche credenze animistiche comunemente dette pagane, alla Natura erano associate divinità maggiori e minori. La Natura aveva un’anima. Dell’antico spirito pagano resta traccia in tradizioni di origine rurale che permangono in luoghi inaspettati e insospettabili. Nelle campagne attorno alla ricca Ginevra esiste tuttora la Festa del “Feuillu” (in italiano, fogliuto), che si tiene in maggio. Durante questa festa, appare un personaggio coperto di foglie simboleggiante la Primavera che rinasce dall’Inverno. Potremmo azzardare che l’odierna visione ecologica della Natura e del rispetto che le è dovuto richiami laicamente le originarie credenze animistiche. L’antica associazione tra Natura e sacralità è ancora viva nel tradizionale Shintoismo giapponese, che echeggia nell’apparizione degli spiriti naturali (” Kami “) nel segmento Il pescheto (figura 2) del film Sogni (1990) di Akira Kurosawa. Lo Shintoismo – animismo della Natura – convive senza problemi in sincretismo con il Buddismo, di successiva importazione dall’Asia continentale. Nella Mitologia greca la visione sacrale del rapporto dell‘uomo con la Natura assume una struttura organica, e le divinità greche si integrarono senza troppi problemi con quelle latine grazie ai comuni riferimenti alla Natura. Gli Dei avevano le imprevedibilità della Natura nonché le passioni e bizzarrie degli esseri umani, e non disdegnavano scendere dal loro Olimpo. La Natura può essere benevola con gli uomini ma anche arrabbiarsi furiosamente e – in visione animistica – punirli. Così fanno le divinità della Mitologia Greca. Zeus (al quale è “funzionalmente” associato il Giove dell’antica Roma), signore dell’Olimpo e divinità del cielo, puniva con la folgore. Vulcanismo e Efesto Tra le divinità, non mancano fuoco e vulcanismo. La divinità del fuoco, dei fabbri e degli artigiani era Efesto (Vulcano per i Romani). Il fuoco è indispensabile nella vita quotidiana (lo sappiamo dal primo caffè della mattina) e permette di forgiare utensili. Ma il fuoco può anche erompere disastrosamente dai vulcani, come lo sterminator Vesevo di Giacomo Leopardi.

Fig. 3. Efesto ritorna all’Olimpo cavalcando un asino e con in mano un martello Anfora attica a figure nere (VI secolo a.C.), Kunsthistorisiches Museum, Vienna Immagine Viatico de Vagamundo –  Clic per Alta Definizione

Efesto era figlio di Zeus e Hera. Zeus aveva una forte invidia per la sua abilità nel forgiare col fuoco armi e strumenti e in generale come artigiano. Nel corso di una delle liti tra Zeus ed Hera, Efesto intervenne in difesa della madre. Zeus, già mal predisposto, lo gettò giù dall’Olimpo senza troppi complimenti. La rovinosa caduta lo fece atterrare sull’isola di Lemno, ove si ritrovò con un piede storpiato. Lì acquisì una straordinaria abilità nel forgiare armi, lavorare metalli e creare bellissimi gioielli. Riconoscendo la sua capacità di creare bellezza, Hera lo perdonò per non essere ciò che aveva sperato e convinse Zeus a richiamarlo all’Olimpo. Così Zeus mandò Dioniso, fratello di Efesto, a inebriarlo con vino per convincerlo a farlo tornare. Efesto lo fece accompagnato da Dioniso e cavalcando un asino. Il trionfale ritorno di Efesto all’Olimpo era un argomento preferito dell’iconografia di epoca arcaica, come mostrato in figura 3. Tornato tra gli Dei dell’Olimpo, Efesto visse lavorando indisturbato come artigiano nell’ambiente infuocato della sua attrezzatissima fucina sotterranea, nella quale lo raffigura solitamente la tarda iconografia. La fertile montagna e Dioniso L’eruzione del 79 d.C. fu preceduta da un lunghissimo periodo di sostanziale quiescenza. La sua natura vulcanica era caduta nell’oblio. Dell’antico vulcano era restato quello che è ora chiamato Monte Somma. La grande fertilità del terreno vulcanico era diventata la caratteristica dominante della “montagna”, che veniva sovente associata a  Dioniso (divinità del vino e della vegetazione, assimilato alla divinità romana Bacco) piuttosto che a Efesto (Vulcano per i romani). Otto anni dopo l’eruzione,  Marco Valerio Marziale (40-104 d.C.) scrisse in uno dei suoi Epigrammi (V, 44): “Hic est pampineis viridis modo Vesbius umbris, Presserat hic madidos nobilis uva lacus. Haec iuga quam Nysae colles plus Bacchus amavit ” Ecco il Vesuvio, che ieri ancora era verde delle ombre di pampini: qui celebre uva spremuta dal torchio, aveva colmato i tini. Questa giogaia Bacco amò più dei colli di Nisa. Nella parte sinistra dell’ affresco pompeiano mostrato in figura 4 – assieme al larario della Casa del Centenario ove era situato – è quasi certamente raffigurato Dioniso, ricoperto di grappoli d’uva in una inusuale iconografia. Pur se oggetto di dibattito , affascina l’ipotesi che la montagna rappresentata a destra di Dioniso sia il Vesuvio di quei tempi, ora indicato come Monte Somma riservando la denominazione Vesuvio al cono vulcanico iniziatosi a formare con l’eruzione del 79 d.C. Questa interpretazione è con la pendenza asimmetrica del Monte Somma, più ripida verso la depressione creatasi ove era la caldera dell’antico vulcano di cui il Monte Somma è quanto resta. Nella parte inferiore dell’affresco è raffigurato un serpente agatodemone (dal greco ἀγαθός δαίμων trascritto in agathós daímōn, letteralmente “buon demone”) barbuto e con la testa coronata, uno spirito buono con il ruolo di genius loci – ossia protettore della casa e propiziatore di fortuna favorevole e di buona salute – associato a Dioniso nella mitologia greca.

Fig. 4. Dioniso e (presumibilmente) il Vesuvio prima dell’eruzione del 79 d.C. Dal larario (a destra) della Casa del Centenario a Pompei (Regio IX) Scavo nel 1879, ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli Immagine dell’affresco: Wikiwand …-… Alta definizione Immagine del larario: G.F. De Simone, Cronache Ercolanesi 4/2011

Fig. 5. Statua di Dioniso rinvenuta nella villa romana
di Somma Vesuviana (dettaglio)
Museo Storico Archeologico di Nola
Immagine Fame di Sud – Silvestro Barbato
Alta definizione

Un collegamento tra il Vesuvio e il culto di Dioniso si ritrova in altri casi, letterari e archeologici. Tra questi ultimi, citiamo innanzitutto lo splendido e conturbante ciclo di affreschi su riti dionisiaci nella Villa dei Misteri a Pompei. In anni recenti, numerosi riferimenti a Dioniso sono emersi negli scavi di una monumentale villa romana situata nei pressi di Somma Vesuviana e distrutta nel 472 d.C. dall’eruzione detta di Pollena, quando era ancora utilizzata seppure con mutate finalità, in particolare agricole. Il racconto di Tacito (Annales, Par. 5, Libro 1), secondo cui l’Imperatore Ottaviano Augusto ammalatosi durante un viaggio si spense nel 14 d.C. “apud urbem Nolam” (vicino alla città di Nola), e la sua monumentalità fecero ipotizzare – anche se in assenza elementi comprovanti – che quello ne fu il luogo. Tra i riferimenti a Dioniso spicca la sua bellissima statua mostrata in figura 5, ora al Museo Storico Archeologico di Nola. Madonna e Santi Con la religione cristiana, divinità e Natura separano la loro associazione. Dio regge tutto in modo imperscrutabile, Madonna e Santi vengono implorati affinché “intervengano” per scongiurare i pericoli. Come, secondo la tradizione religiosa, fece miracolosamente San Gennaro invocato in processione solenne dallo spaventatissimo popolo napoletano affinché fosse salvato dalla tremenda eruzione del 1631. Lo racconta Micco Spadaro nel dipinto in figura 6a e 6b.

Fig. 6a. Il popolo napoletano in processione invoca San Gennaro affinché
arresti l’eruzione del 1631
Dipinto seicentesco di Micco Spadaro (collezione privata)
Immagine Atlante dell’Arte Italiana –  Alta Definizione

 

Fig. 6b. San Gennaro interviene e salva Napoli Dettaglio della figura precedente

Le divinità greco-romane, bollate come “false e bugiarde” nel Canto Primo dell’Inferno dantesco, tramontarono. Ma elementi dell’antica Mitologia permangono in incognito nelle tradizioni millenarie delle comunità rurali, che vivono a contatto della Natura. Wolfgang von Goethe e i vedutisti Nel suo Viaggio in Italia (1787), Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) dedicò delle bellissime pagine a Napoli e al Vesuvio, visitati nel suo Grand Tour. Il 2 giugno 1787 egli questo riferisce delle emozioni ispirategli dal Vesuvio durante una sua visita alla duchessa Giovane nella Reggia di Portici: “Stava già facendosi buio e non avevano ancora portato i lumi. Passeggiavamo su e giù per la stanza, quando, avvicinatasi alle finestre laterali chiuse da scuri, ella aprì un’imposta, e io vidi allora ciò che si vede una sola volta nella vita. Se, così facendo, ella aveva inteso sorprendermi, v’era perfettamente riuscita. Eravamo a una finestra dell’ultimo piano, col Vesuvio proprio di fronte; il sole era tramontato da un pezzo e il fiume di lava rosseggiava vivido, mentre il fumo che l’accompagnava andava prendendo una tinta dorata; la montagna mugghiava cupa, sovrastata da una gigantesca nube immobile, le cui masse a ogni nuovo getto si squarciavano balenando e illuminandosi come corpi solidi. Di lassù fin quasi al mare correva una lingua di braci e di vapori incandescenti; e mare e terra, rocce e alberi spiccavano nella luminosità del crepuscolo, chiari, placidi, in una magica fissità. All’abbracciare tutto questo con un solo sguardo, mentre dietro il monte, quasi a suggellare la visione incantevole, sorgeva la luna piena, c’era di che trasecolare”.

Fig. 7. L’eruzione del Vesuvio del 1774
Philipp Hackert; Staatliche Kunstsammlungen, Kassel
Immagine Atlante dell’Arte Italiana –  Clic per Alta Definizione

Nello stesso spirito Philipp Hackert (1737-1807), pittore “ vedutista ” frequentato e apprezzato da Goethe, dipinge il Vesuvio come in figura 7. Per il tema che qui trattiamo, interessa la visione di Goethe su come la presenza del Vesuvio sia sentita dalla popolazione locale. Il 20 marzo 1787 , al ritorno della sua terza ascesa al Vesuvio egli scrisse quanto segue (anzitutto riportato in lingua originale ): “Der herrlichste Sonnenuntergang, ein himmlischer Abend erquickten mich auf meiner Rückkehr; doch konnte ich empfinden, wie sinneverwirrend ein ungeheurer Gegensatz sich erweise. Das Schreckliche zum Schönen, das Schöne zum Schrecklichen, beides hebt einander auf und bringt eine gleichgültige Empfindung hervor. Gewiß wäre der Neapolitaner ein anderer Mensch, wenn er sich nicht zwischen Gott und Satan eingeklemmt fühlte”. Un superbo tramonto, una sera celestiale deliziarono il mio ritorno; ma sentivo chiaramente l’effetto sconvolgente di quel mostruoso contrasto. La terribilità contrapposta al bello, il bello alla terribilità: l’uno e l’altra si annullano a vicenda, e ne risulta un sentimento d’indifferenza. I napoletani sarebbero senza dubbio diversi se non si sentissero costretti fra Dio e Satana. Avete letto bene: “mostruoso contrasto” e “sentimento d’indifferenza”. Questo egli dice riferendosi ai napoletani in generale. In realtà, la questione è complessa ed è molto difficile da generalizzare, pur se può dirsi che i visitatori tendono ad avere una visione più vicina a quella estetica dei “vedutisti” che a quella delle comunità residenti. Come vedremo ora, la visione di Goethe è ben diversa dal sentire delle popolazioni che vivono nei paesi vesuviani, nel più stretto contatto con quella che sentiamo anche chiamare “montagna calda”. Riti, uomini e vulcano nelle feste vesuviane Il Vesuvio è una forte “presenza”, che anima sotto tutti gli aspetti la popolazione dei paesi vesuviani e le sue tradizioni. Tra queste, vi sono le Feste della montagna . Vengono chiamate montagna “calda” e “fredda” rispettivamente il Vesuvio e il Monte Somma. Già queste denominazioni implicano l’accettazione del Vesuvio anche come montagna, seppur di natura speciale: calda. Le Feste della Montagna iniziano il primo sabato dopo Pasqua e terminano il 3 maggio. Esse hanno origine dai riti rurali della Primavera, volti a festeggiare il risveglio della vegetazione e propiziare un buon raccolto, nella Mitologia collegati a Dioniso. Le riecheggia in modo subliminale la devozione per la Madonna di Castello : nelle antiche tradizioni popolari si attua naturalmente una forma di sincretismo, anche se praticamente inavvertito e non esplicito come tra Shintoismo e Buddhismo in Giappone. La cartolina in figura 8 mostra, in una sintesi piana e diretta, il convivere di vari aspetti delle Feste.

Fig. 8. Festa di Santa Maria a Castello e Sabato dei Fuochi Immagine Piroweb

 

Fig. 9. Mater Matuta, IV-II secolo a.C. Museo Campano, Capua Immagine Atlante dell’Arte Italiana

La Madonna di Castello è rappresentata seduta. Anche in questa iconografia seduta della Madonna riecheggiano elementi pagani. Seduta era la divinità italica Mater Matuta, venerata come divinità dell’Aurora e protettrice delle partorienti. Proprio il Museo Campano nella non lontana Capua ospita una eccezionale collezione di Matres Matutae , una delle quali è rappresentata in figura 9. Altre portano in braccio più di un neonato. Commuovono la spiritualità e l’umanità di una espressività artistica che nella sua essenzialità non conosce il tempo, come non lo conoscono i sentimenti umani di fronte a eventi esistenziali quali nascita e maternità. La loro valenza è universale e onnitemporale, per cui il richiamo alla Mater Matuta innesca riflessioni che guardano ben oltre la tipologia iconografica: una Dea Madre è presente in ogni tempo e cultura. In tempi ben più remoti, la venerazione della maternità traspare anche nelle “Veneri callipigie” o “steatopigie” del Paleolitico, così dette anche se il richiamo a Venere e alla bellezza non appare il più appropriato. Nella materiale essenzialità di una visione primitiva, gli attributi del corpo femminile associati alla fecondità e alla maternità sono vistosamente accentuati. Tra i ritrovamenti in Italia, ne sono esempi la “Venere di Savignano” e la “Venere di Frasassi”, ritrovate rispettivamente in Emilia e nelle Marche. La devozione per la Madonna di Castello è tutta vesuviana: essa integra religiosità, “montagna calda” e il suo popolo, fuoco bruciante, rinascita dopo il fuoco e profondità nella storia. Soffermiamoci a evocarne brevemente il percorso nel tempo, presentato per esteso tra i Cenni storici sul sito Web www.madonnadicastello.it. In epoca angioina, sulle pendici della montagna presso Somma Vesuviana fu edificato un castello, con una cappella dedicata a Santa Lucia. Le vicende distruttive e costruttive della storia umana portarono – nei primi decenni del Seicento – all’edificazione di una nuova cappella e a porvi una statua lignea della Madonna. Ma la montagna calda nasconde un vulcano e venne la tremenda eruzione del 1631, che distrusse tutto. La statua della Madonna fu ritrovata da un pastore, semibruciata. La testa era stata lasciata integra dal fuoco, cosicché fu dato incarico a un restauratore napoletano di ricostituire la statua. Il restauratore tardava a compiere la sua opera. La figlia del restauratore, immobilizzata a letto per grave malattia, udì un giorno una voce uscire dalla cassa in cui giaceva la statua. La voce esortava la ragazza ad alzarsi, farla uscire dalla cassa e a adoperarsi per farla tornare nella sua dimora vesuviana. La miracolosa guarigione avvenne, il restauratore compì l’opera e la statua (già mostrata in figura 8) fu riconsegnata ai Sommesi e fu posta nella cappella sulle pendici del Vesuvio.

Fig. 10. Danze e paranza nel Sabato dei fuochi
Immagine Napolike

 

Fig. 11. Scena comica con suonatori ambulanti, dalla Casa di Cicerone a Pompei
Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Immagine Wikimedia Commonsa

    Il “ Sabato dei Fuochi ” è parte delle Feste della Montagna. Una sintesi è fornita sul sito Web del Parco Nazionale del Vesuvio . Il popolo vesuviano sale sul “ciglio” e in altri luoghi del Monte Somma, accompagnato e trascinato alla danza dalla musica di gruppi detti “paranze“ (figura 10), ispirandosi a tradizioni musicali millenarie (figura 11). La Madonna di Castello viene visitata e venerata. Il vino scorre in banchetti rustici all’aria aperta. La discesa avviene al calar del Sole. Secondo la tradizione, con il sopravvenire del buio dei falò accesi sulle pendici della montagna evocano il fuoco del Vesuvio. Sopravvenuta la notte, i fuochi di artificio illuminano il cielo come in un fenomeno eruttivo. Canto, danza e libagioni sono presumibilmente la propagazione nella storia di antichi riti riferiti a Dioniso. L’accensione dei falò può avere avuto originariamente lo scopo di esorcizzare con il fuoco stesso – si potrebbe dire omeopaticamente – una eruzione dal vulcano, onorandone la divinità per propiziarsela. Se siete incuriositi, vedete Festa della Madonna di Castello sul sito Web del Parco Nazionale del Vesuvio. Scienza e Vesuvio Nel secolo di Galileo, Athanasius Kircher (1602-1680) in Mundus Subterraneus (1664) fu pioniere della Vulcanologia come Scienza, collocando nelle profondità della Terra la sorgente del “fuoco” che si manifesta nei fenomeni vulcanici (figura 12): “I prodigiosi vulcani e le montagne che vomitano fuoco visibili sulla superficie esterna della Terra sono sufficienti per dimostrare che essa è piena di fuochi invisibili e sotterranei”.

Fig. 12. Athanasius Kircher, Mundus Subterraneus (1664) – Immagine Wikimedia Commons

Fig. 13. L’Osservatorio Vesuviano nel 1906 Museo Fratelli Alinari, Firenze – Immagine Nature

 

Fig. 14. Senza parole, Immagine Robert Mankoff – The New Yorker

Uno spettacolare progresso scientifico è stato realizzato dal tempo di Kircher, anche se la previsione delle eruzioni resta un cruciale problema ancora aperto. Tra le pietre miliari riguardanti direttamente il Vesuvio, citiamo la fondazione dell’ Osservatorio Vesuviano nel 1841. Esso fu la prima struttura di ricerca del mondo in situ su un vulcano, equipaggiata per ospitare in permanenza un insieme di ricercatori. La figura 13 ne mostra lo storico edificio, tuttora integro, nel 1906. L’Osservatorio ha reso possibile tenere il vulcano sotto stretta sorveglianza, studiandolo e registrando ogni segnale che potesse essere utile per avvertire il sopravvenire di una situazione di pericolo. Esso è situato a circa metà altezza sulle pendici del vulcano, abbastanza lontano dalla vetta per essere al sicuro da materiale eiettato nelle eruzioni e collocato su un poggio per essere protetto da colate di lava. L’Osservatorio Vesuviano ha avuto un ruolo pioneristico nell’osservazione continuativa di vulcani. Con i mezzi di trasmissione dei dati e gli strumenti oggi disponibili, il monitoraggio è condotto in centri situati in posizione remota, ove vengono fatti confluire i dati provenienti da sensori distribuiti sul vulcano e sul territorio circostante. Una pietra miliare relativamente recente è stata posta nella seconda metà degli anni ’90 dal progetto TOMOVES e dalla sua estensione MAREVES, volti a fornire una “immagine” delle camere magmatiche sottostanti tramite la tecnica detta Tomografia Sismica. Questa tecnica permette di ottenere immagini in tre dimensioni di strutture complesse nel profondo del sottosuolo. Essa è basata sull’osservazione dell’eco di onde sismiche prodotte artificialmente mediante esplosioni in vari luoghi attorno al volume da indagare. La loro riflessione verso la superficie terrestre da parte di disomogeneità incontrate nel propagarsi in profondità porta informazioni sulle disomogeneità stesse. La tomografia sismica del Vesuvio ha permesso l’individuazione di un vasto strato magmatico a 8-10 km di profondità, esteso fino ai Campi Flegrei come mostrato in figura 14.  

Fig. 15. Lo strato magmatico individuato con la tomografia sismica, alla profondità di 8-10 km

La clessidra vulcanica Senza alcuna parola, la vignetta in figura 15 dice che il tempo del vulcano scorre fatalmente come la sabbia in una clessidra nella quale sia celato quanto ne rimane. Si attende l’ignoto momento – lontano o vicino che esso sia – in cui una eruzione potrà avvenire. Come affrontare questa realtà? Il totalmente passivo “metodo struzzo” – mettere la testa sotto la sabbia per non vedere – è inaccettabile come sistema. Come è irresponsabile l’anestetico dell’indifferenza che tanto sorprese Goethe. Ha i suoi limiti l’antica saggia attitudine tramandata dalle tradizioni delle popolazioni che hanno il vulcano come compagno, amandolo per i suoi doni da “montagna calda” e per il resto accettando il fato, salvo pregare o seguire la tradizione e scongiurare il pericolo in feste rituali. La Protezione Civile e la Scienza portano a un approccio attivo nella convivenza con il vulcano. Va conosciuto per capire quali sono le misure precauzionali da prendere per “mitigare il rischio” in caso di eruzione, perseguendo l’ambizioso e arduo obiettivo di penetrare lo schermo che separa l’interno della clessidra dai nostri occhi in modo da giungere a prevederne le eruzioni in tempo utile. Ogni passo è un passo.

 

Paolo Strolin  

 

 

Bibliografia Tracy Marks, Hephaestus or Vulcan: Artisan of the Gods e The Greek God: Hephaestus , Cambridge Center for Adult Education Antonio De Simone, Il restauro della collezione delle Madri del Museo Provinciale Campano di Capua, Orizzonti: Rassegna di Archeologia, 15 (2014) 149 Antonio De Simone, La cosiddetta Villa di Augusto in Somma Vesuviana: il Dioniso e la peplophoros , in Dall’immagine alla storia: Studi per ricordare Stefania Adamo Muscettola, Quaderni del Centro Studi Magna Grecia, Ed. Naus (2009) 337-353 Girolamo F. De Simone, Con Dioniso fra i vigneti del vaporifero Vesuvio , Cronache ercolanesi, 41 (2011) 287-308 Raffaele Di Mauro, Festa della Madonna di Castello, in Feste e canti del Vesuvio , Parco Nazionale del Vesuvio Roberto De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Ed. Lato Side (1979) Vesuvioweb , Magazine di cultura vesuviana Antonio Scherillo, Il Vesuvio prima e dopo Plinio , in La regione sotterrata dal Vesuvio (1982) 945-955.

 

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