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Canova: “l’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”

Il 13 ottobre 1822 moriva Antonio Canova, il maestro del Neoclassicismo, acclamato come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.

Antonio Canova nasce a Possagno, vicino a Treviso, il 1° novembre del 1757. Rimane precocemente orfano di padre e, quando la madre si risposa e si trasferisce in un paese vicino, viene affidato al nonno paterno, Pasino, abile scalpellino e capomastro, che gli insegna i primi rudimenti del mestiere. Poiché il giovane Canova dimostra una dote eccezionale per la scultura, nel 1768 viene mandato a condurre il proprio apprendistato a Venezia, dove frequenta studi di scultori oltre alla Pubblica Accademia del Nudo e dove realizza le sue prime opere che gli danno in breve una certa notorietà nell’ambiente artistico locale. Dopo Venezia, sua patria, e Roma, dove fissò la sua residenza a partire dal 1780 e dove visse sin quasi alla morte, Napoli è di certo la città con la quale Antonio Canova ebbe più relazioni. La capitale del regno borbonico, meta imprescindibile per qualsiasi artista nella seconda metà del Settecento e una delle tappe del grand tour, anche per la risonanza degli scavi di Ercolano e Pompei, fu visitata da Canova subito dopo Roma, dov’era giunto da Venezia, in viaggio d’istruzione, alla fine del 1779. È dunque il desiderio di ammirare le bellezze e le opere d’arte della città, di conoscere le antichità “ercolanesi” e di Paestum, che spinse il giovane scultore a recarsi a Napoli. Vi giunse il 27 gennaio 1780. L’artista ci consente di seguire, passo passo, i suoi itinerari grazie alle preziose note del suo secondo “Quaderno di viaggio”. Però vorrei parlare del legame privilegiato che Canova ha avuto con Napoli, iniziato già con il viaggio di studio nel 1780 e perdurato, con frequenze ravvicinate, fino all’anno della sua morte, il 1822. Oltre quarant’anni di visite, di committenze e di attività artistiche, di amicizie, con tre sovrani: Ferdinando IV di Borbone, Giuseppe Bonaparte, Gioacchino Murat. Un tassello molto importante della relazione tra Canova e Napoli è il collezionismo privato che si interessò allo scultore con notevole anticipo rispetto all’attenzione dei sovrani.

Nel 1787 torna a Napoli e scolpisce per Francesco Maria Berio, patrizio genovese residente in città, il gruppo in marmo “Venere e Adone” – oggi a Ginevra – opera del genere “delicato e gentile” che il marchese posizionò in un tempietto del giardino del suo palazzo in via Toledo.

 

Sempre per un altro nobile napoletano, don Onorato Gaetani dell’Aquila d’Aragona duca di Miranda, Canova propone di eseguire una scultura raffigurante Ercole e Lica, ispirandosi al modello ideale dell’Ercole Farnese e alla soluzione compositiva di un altro importante marmo delle raccolte farnesiane, che erano state trasferite da Roma a Napoli nel 1792, il cosiddetto “Atamante e Learco” o “Ettore e Troilo”, o “Commodo”, opere oggi conservate al MANN. Il gruppo, tuttavia, per una serie di vicissitudini fu acquistato successivamente dal banchiere romano Giovanni Torlonia e non arriverà mai a Napoli.

 

All’inizio del 1800, Ferdinando IV di Napoli chiede a Canova una statua-ritratto. Il sovrano, rifacendosi alle origini greche di Napoli, intendeva rilanciare l’immagine della città quale nuova Atene e nuova Roma, un luogo in cui potessero convivere l’antico e il moderno. La statua di Ferdinando IV ebbe una storia complessa, e solo nel 1815, al ritorno del legittimo sovrano a Napoli con il nome di Ferdinando I Re delle due Sicilie, l’opera fu ripresa e terminata. Per la stessa volontà del Canova, la statua è inserita nella nicchia dello scalone monumentale dell’allora Real Museo Borbonico, l’attuale Museo Archeologico Nazionale.

Ferdinando IV Borbone 1800-1821

Nel decennio del dominio francese su Napoli, l’artista scolpisce i busti in marmo di Carolina e Gioacchino Murat (1813), di cui sono rimasti soltanto dei gessi, e la “Erma di Vestale” per il conte Paolo Marulli d’Ascoli, un’opera che lascerà Napoli, prima per la Svizzera e poi per il Getty Museum di Los Angeles.

Nello stesso periodo gli viene commissionato un monumento equestre di Napoleone, del quale Canova aveva già realizzato i gessi del cavallo e del condottiero, ma che non porterà a termine per la caduta dei francesi. Dopo l’avvento sul trono di Napoli, Ferdinando I di Borbone chiede allo scultore di completare il monumento inserendo la statua di suo padre, Carlo III (1815) e chiese successivamente di far scolpire un’altra statua equestre, che lo rappresentasse, di fronte a quella del padre. Canova riuscì portare a termine solo il cavallo perché morì nell’ottobre del 1822.

La statua di Erma di Vestale 1817-1822

La statua di Ferdinando venne terminata da un allievo di Canova, Antonio Calì. Le statue vennero sistemate su basamenti in marmo, e con lo sguardo rivolto verso Palazzo Reale, le statue furono inaugurate nel 1829 a Largo di Palazzo, oggi Piazza Plebiscito e ancora lì collocate.

Monumenti equestri Carlo III e Ferdinando IV, bronzo, Napoli, Piazza Plebiscito, 1807-1819

“L’ultimo degli antichi e il primo dei moderni”: definizione che ben si attaglia al sommo Antonio Canova e alla sua arte sublime, celebrata per la prima volta a Napoli, al MANN -Museo Archeologico Nazionale dal 28 marzo al 30 giugno 2019, in una mostra-evento straordinaria per tematica e corpus espositivo. Per la prima volta, la messa a fuoco in una mostra di quel rapporto continuo, intenso e fecondo che legò Canova al mondo classico, facendone agli occhi dei suoi contemporanei un “novello Fidia”, ma anche un artista capace di scardinare e rinnovare l’antico guardando alla natura. Un Antico dalle mille sfaccettature, per uno come Canova, artista curioso e prensile come pochi. Solo in un grande museo di raccolte archeologiche si poteva chiarire questo legame, e il MANN di Napoli con le antichità emerse a seguito degli scavi nel corso del secolo XVIII, più i marmi di palazzo Farnese e altre residenze di famiglia fatti venire da Roma a fine Settecento per iniziativa di re Ferdinando IV di Borbone, è stata la sede ideale per esplicitare questo dialogo, fatto di affinità e di contrapposizioni. Il dialogo Antico/Moderno è stato, per lo scultore, una costante irrinunciabile. Fino a toccare, in tale percorso, punte che hanno valore di sfida: su tutte, la creazione del Perseo trionfante, novello Apollo del Belvedere.

Perseo trionfante, Canova 1797- 1801
    Apollo del Belvedere copia romana II sec. d.C.

La mostra è stata curata da Giuseppe Pavanello, tra i massimi studiosi di Canova, riunendo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, oltre ad alcune ulteriori opere antiche di rilievo, più di 110 lavori di Canova, tra cui 12 straordinari marmi, grandi modelli e calchi in gesso, bassorilievi, modellini in gesso e terracotta, disegni, dipinti, monocromi e tempere, in dialogo con opere collezioni del MANN, in parte inserite nel percorso espositivo. Proprio il confronto, per analogia e opposizione, fra le opere di Canova e opere classiche, costituisce d’altra parte la novità di questa mostra, evidenziando un rapporto unico tra artista moderno e l’arte antica.

Mariaconsiglia Di Concilio

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