Skip to content

Santi monaci e perfidi omicidi in un antico cenobio

Storia della badia italo-greca di Santa Maria di Pattano

 

Vicende noir, intrighi e storie di santità si intrecciano alla storia della Badia di Pattano, il monastero italo-greco meglio conservato dell’Italia Meridionale. In origine luogo di culto e di spiritualità, punto di ristoro e rifugio per le popolazioni locali contro le scorrerie degli invasori, fu fondato tra l’VIII e il X secolo dal monaco orientale Filadelfo. La tradizione popolare lo proclamò Santo, attribuendogli il potere di guarire i malati e scacciare i demoni. Nei secoli successivi, però, con l’accrescersi di possedimenti e ricchezze, il convento divenne teatro di orribili misfatti.

Nel 1458 una commissione papale fece visita alla badia di Pattano. I messi accertarono che l’egumeno Elia aveva ucciso un confratello, intratteneva rapporti con giovani donne che introduceva nella sua cella, concedeva in fitto a prezzi irrisori la terra del monastero, ricevendone lauti guadagni personali. Il papa decise, quindi, la soppressione del convento, che da allora passò di commenda in commenda fino all’inizio del 1800, quando fu acquistato dal sacerdote Agostino Giuliani.

Del complesso fanno parte la chiesa di Santa Maria, la torre campanaria, la cappella di San Filadelfo, le fabbriche del primitivo cenobio, vari ambienti rustici tra cui una cantina, una conceria, il locale del corpo di guardia e un “trappito” oggi adibito a sala conferenze.

La torre campanaria è tra le più originali e interessanti dell’Italia meridionale. Nel suo insieme si presenta ripartita in cinque ordini da quattro cornici orizzontali di varia tipologia. Di particolare rilievo il gioco ornamentale realizzato dagli elementi in cotto che formano un nastro di triangoli cavi. Il cromatismo che ne deriva si richiama ai motivi decorativi delle province meridionali dell’Impero bizantino. Un’ulteriore particolarità della torre consiste nel fatto che ai vari piani ha monofore e bifore tutte diverse tra loro.

Affresco dell’abside della chiesa di San Filadelfo – Badia di Santa Maria di Pattano (Vallo della Lucania).

Statua S.Filadelfo (X-XI sec.). (Foto da Guida al museo diocesano di Vallo della Lucania, CEI, 2002).

La chiesa grande di Santa Maria è strutturata in un’unica navata ed ha un abside poligonale con volta a crociera di impianto angioino. Lo conferma un affresco raffigurante il giglio della nota casata, rinvenuto all’interno di piccola finestra tompagnata. Recenti restauri hanno riportato alla luce sulla parete sinistra le tracce di un’aureola perlinata tipicamente bizantina. Tale raffigurazione consente di datare il primo impianto della chiesa tra il X e l’XI secolo. Successive modificazioni anche pittoriche sono testimoniate da un brano di affresco ascrivibile alla seconda metà del XVII secolo che reca il volto di Santa Chiara.

Ma il vero fiore all’occhiello del complesso è rappresentato dalla cappella funeraria di San Filadelfo. La costruzione dell’edificio, che ha l’usuale orientamento liturgico occidente-oriente, risale alla seconda metà del X secolo. Gli affreschi dell’abside sono organizzati in tre registri: in quello superiore è rappresentata l’Ascensione, in quello centrale la Vergine orante tra i dodici apostoli, in quello inferiore nove Padri della Chiesa orientale con le tradizionali vesti episcopali. Malauguratamente il volto della Vergine è stato scalpellato nel 1976 ad opera di un vandalo, ma ci sono le foto scattate in precedenza che lo ricordano.

Nel corso di un restauro eseguito dopo il terremoto del 1980, al di sotto della chiesetta sono stati rinvenuti i resti di un pavimento su suspensurae, appartenente alla struttura termale di una villa tardo-romana (IV sec.), assieme ad alcune tombe medioevali con preziosi corredi funebri (VI-VII sec). Grazie a una pavimentazione trasparente tale stratigrafia risulta chiaramente leggibile per i visitatori.

Dalla cappella proviene la statua lignea di San Filadelfo, attualmente ospitata presso il Museo diocesano di Vallo della Lucania e ascritta alla fine del X secolo dalla studiosa Marina Falla Castelfranchi. In base a questa cronologia rappresenterebbe il più antico esemplare di scultura bizantina nell’Italia Meridionale.

 

Archivio DRAGUT

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *