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“Un libro è un ordigno per infiammare l’immaginazione”: “La sovrana lettrice” di Alan Bennett.

Dopo la lunga pausa estiva, tutta dedicata ai libri e alla lettura, è emozionante riprendere a scrivere ma, come ormai ben sapete, l’ostacolo più arduo da superare è la scelta del libro da condividere con voi. Numerose le letture che mi hanno coinvolta, tanti gli autori incontrati durante la rassegna del Settembre Culturale (quest’anno giunta alla XV edizione) … una decisione bisogna pur prenderla e, pensandoci un po’, l’attenzione ricade su un libricino delizioso, opera di un autore di cui, fino a quest’estate, non avevo letto nulla e che mi ha irretita con la sua scrittura ironica, leggera, aforistica.

“La sovrana lettrice” è un romanzo di Alan Bennett, pubblicato in Italia dalla casa editrice Adelphi nel 2007 con la traduzione di Monica Pavani: novantacinque pagine intense, che offrono la possibilità di riflettere sul ruolo del libro e della lettura. Una storia piacevole che si apre ad una miriade di riflessioni e di prospettive.

Per una strana casualità, la regina di Inghilterra (il riferimento ad Elisabetta II non è esplicito ma evidente in considerazione degli altri personaggi storici citati, come Margaret Thatcher e Lady D.) si imbatte in una libreria ambulante e in un lettore accanito: Norman, il giovane sguattero dai capelli rossi. E così, un giorno, per caso, la regina si ritrova ad apprezzare la lettura, un passatempo che viene osteggiato e mal visto dal suo entourage perché “leggere vuol dire sottrarsi, rendersi irreperibili” (p.40).

Considerando i numerosi obblighi e le tante responsabilità, Sua Maestà non poteva permettersi passatempi, soprattutto Lei, per cui il piacere era sempre venuto dopo il dovere. Un interrogativo le riempiva i pensieri: perché la lettura ora l’assorbiva così tanto?

“L’attrattiva della letteratura, rifletté, consisteva nella sua indifferenza, nella sua totale mancanza di deferenza. I libri se ne infischiavano di chi li leggeva; se nessuno li apriva loro stavano bene lo stesso. Un lettore valeva l’altro e lei non faceva eccezione. […] I libri non sono per niente ossequiosi. Tutti i lettori sono uguali” (pp.29-30).

Alan Bennett, attraverso la “sovrana lettrice”, disserta sul ruolo del libro e della lettura, con uno stile unico, coinvolgente e, immergendoci nella sua finzione, ci offre un’immagine intima di una delle donne più iconiche dei nostri tempi, ci regala il ritratto di una regina dalla personalità molto articolata.

“Uno dei momenti più elettrizzanti della sua infanzia era stata la Notte della Vittoria, quando lei e sua sorella erano sgattaiolate fuori dai cancelli e si erano mescolate alla folla in incognito. Leggere le dava una sensazione simile: la gioia dell’anonimato; della condivisione; della normalità” (p.30).

“Adesso si sentiva troppo scissa in due. Leggere non era agire, quello era il problema. Anche a ottant’anni, lei era una donna d’azione” (p.81).

Un libro che parla di libri, un romanzo che sembra contenere al suo interno un saggio che parla di tutti coloro che si avvicinano per la prima volta alla lettura, rimanendo rapiti e avvinti dalle storie che si addensano tra le pagine stampate.

Cecil Beaton, Ivy Compton-Burnett, Nancy Mitford, George Eliot, Henry James, Joe Randolph Ackerley, Edward Morgan Forster, Philip Larkin, Ted Hughes, Dylan Thomas, Ian McEwan, Vikram Seth, Jane Austen, Thomas Hardy, Anthony Trollope… sono solo alcuni degli scrittori che incontriamo tra le righe di questo romanzo, che sembrano balzare dagli scaffali di un’ideale biblioteca. Saranno gli scrittori preferiti del nostro autore? Chissà!

Il tradizionale dissidio tra la contemplazione e l’azione viene superato dalla “sovrana lettrice” e, sul finale, non manca un raffinato colpo di scena che vi lascerà deliziati e che, come si legge nella quarta dell’edizione Adelphi, è “uno di quei lampi di genio che ci fanno capire come mai Alan Bennett sia considerato un grande maestro del comico e del teatro contemporaneo”. Il dissidio tra i libri e la vita viene superato pienamente in nome del fatto che:

“Non si mette la vita nei libri. La si trova” (p.81).

Anna Maria Petolicchio

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