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Respirare a 3000 metri di altitudine sopra il livello del mare

Esistono dei posti nel mondo che mi ricordano che non sono sola.
Che non sono unicamente una giovane donna con un nome, una condizione sociale, un paio di jeans e una maglietta.
Che non sono solamente i miei lunghi capelli scuri che mi incorniciano il viso o gli occhi color nocciola.
Esistono dei posti nel mondo che mi ricordano che sono viva.
E sono viva adesso, in questo preciso istante.
Non contano il passato o il futuro.
O, se contano, passato e futuro hanno un senso solo se considerati come aspetti di un presente che scorre, inafferrabile, come l’acqua del Mississippi-Missouri.
Quando, per la prima volta nella mia vita, sono salita a 3000 metri di altitudine sopra il livello del mare, il fiato mi si è spezzato a guardare giù.
Non ero mai stata così in alto, così vicina alle cime delle montagne.
Così vicina al cielo.
E un senso di smarrimento mi ha ingoiato intera.
Mi sono sentita piccola.
Piccola come la più piccola delle formiche.
Piccola come il più piccolo dei granelli di sabbia del Sahara.
Per un attimo, ma solo per un attimo, mi sono sentita sola.
Un ragazza fragile con le proprie paure.
Paura del buio.
Paura di cadere.
Paura di sbagliare.
Poi, ho guardato di nuovo in basso. Di nuovo attorno a me.
Una folata di vento mi ha spostato i capelli, sfiorandomi il mento e le guance.
Ho fissato ancora le vette e ho pensato a quanto possano aver paura loro a dover sopravvivere alla neve tutti gli anni, alla pioggia battente, al sole che scotta.
Così antiche, così grandi, quelle montagne hanno sostenuto per millenni il peso della volta celeste sulle spalle. E, ne sono certa, avranno avuto timore anche loro quando un’improvvisa valanga ha rischiato di sgretolarle in mille pietre.
Eppure, loro sono ancora lì.
Resistono.
E sono belle da spezzare il fiato proprio perché hanno il coraggio di lottare.
E così non ho avuto più paura.
Perché se hanno paura anche le Dolomiti, figuriamoci un essere effimero come me.
Non mi sono sentita più sola, ma in comunione con l’Universo.
Non mi sono sentita più un prodotto del passato o un’aspettativa del futuro.
Solo, mi sono sentita me stessa.
In un presente che gli dei ci invidiano.
Al di là del mio nome, della mia condizione sociale, del mio paio di jeans e della mia maglietta.
Al di là dei lunghi capelli scuri che mi incorniciano il viso o degli occhi color nocciola.

Mariasole Nigro

 

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