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Chi fa l’Archeologia?

Fino ad oggi nei miei articoli ho sempre trattato argomenti prettamente legati agli “oggetti” del passato, ma prima di arrivare a conoscere questi oggetti e a ricostruire la storia dei popoli, ci siamo mai chiesti come l’avremmo fatto se non si fosse formata nel tempo la figura dell’archeologo?

Non potrò sicuramente scrivere un saggio sulla storia dell’archeologia, e su chi ha portato alle nuove scoperte e metodologie di ricerca, ma ho deciso di soffermarmi su una figura che, durante i miei studi, mi ha particolarmente colpito per la tenacia, la forza di volontà e la duttilità mentale nel sapersi muovere fra le varie epoche.
Mi riferisco al grande archeologo Amedeo Maiuri.

È stato uno dei maggiori archeologi moderni in Italia della prima metà del 900. Fu, infatti, responsabile della missione archeologica italiana nell’Egeo, dove ricoprì la carica di direttore.
Dopo il lavoro svolto in Grecia, rientrò in Italia dove assunse il ruolo di direttore del museo archeologico nazionale di Napoli e poi degli scavi di Ercolano e Pompei. Ebbe svariati meriti scientifici e per questa ragione diventò socio dell’Accademia d’Italia. Il suo campo di interesse fu vasto, ma la sua formazione non fu fin da subito di stampo archeologico, bensì filologica letteraria. Proprio per questo motivo fu ben visto da Federico Halberr che lo chiamò a Creta dove divenne membro attivo della missione archeologica e dove curò le edizioni delle epigrafi greche.

Quando fu richiamato in Italia si occupò della direzione degli scavi di Pompei ed Ercolano e, allo stesso tempo, di altre importanti zone come l’Irpinia, la Lucania, gli insediamenti magno-greci.
È uno studioso aperto intellettualmente e alle dinamiche delle antichità.
Per fare un accenno al suo metodo, riteneva che l’analisi delle fonti fosse una tappa fondamentale per ogni ricerca archeologica.
Ebbe un rapporto ambiguo con il regime fascista, poiché da un lato la sua convivenza con il regime per alcuni fu la prova della sua adesione a quest’ultimo, ma attraverso una più attenta analisi ne viene fuori una realtà diversa: Maiuri ebbe sempre un ruolo pubblico, e come tale, fu coinvolto in attività pubbliche e quindi collegate alla politica del tempo.

Di Maiuri rimane l’impostazione della ricerca, poiché fu uno dei primi che riuscì a ragionare per contesti, riuscì a pensare alla necessità, da un punto di vista scientifico, di restituire alla comunità dei dati ben scritti e pubblicati. Voleva creare esperienza ed emozione, far partecipare in maniera attiva la comunità. Rendere, quindi, l’archeologia un qualcosa di molto più “sociale” piuttosto che dei semplici studi legati al passato.

Questa attitudine la possiamo notare ad Ercolano, dove gli oggetti portati alla luce durante gli scavi furono raccolti per essere posizionati nei loro spazi originari, il che permetteva di raccontare la storia di quell’ambiente e di quella società e creava uno scenario di visita attraverso cui veicolare la corretta storia ai visitatori.
Il passato doveva essere, conosciuto, spiegato e soprattutto ben comunicato!

Martina Pico

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