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L’ombelico della notte: in ricordo di Renato Ferro.


Immaginando il nostro viaggio tra gli scaffali della mia libreria, avevo selezionato alcuni degli autori, dei libri, degli scritti. Oggi, però, ho deciso di far orbitare il nostro viaggio insieme tra le profumate pagine ingiallite e fiumi di parole attorno ad una boa un po’ diversa dal solito. In grado di coinvolgermi in prima persona, e di scuotermi il petto di intensissime emozioni che, come magma incandescente, si mescolano tutte insieme.

Vi parlerò, quindi, di ricordi, le “ampolle del vissuto”, ed in particolare del ricordo di una persona che è stata in grado di riempirle tutte, quelle che raccolgono il mio, di vissuto. Spero che queste parole possano, almeno per un attimo, lasciare una piccola traccia indelebile nella nostra memoria. Perché i ricordi assai preziosi meritano d’essere condivisi.

Con lo sguardo ripercorro i titoli che si susseguono. Mi soffermo su “L’ombelico della notte” e mi ritrovo a sorridere. Ricordo il senso di stupore e di inadeguatezza quando mi fu chiesto di scriverne la prefazione. “Non penso di esserne capace” – dissi di getto. “Certo che sì. Sei una sapiente lettrice delle mie stravaganze” – mi rispose di rimando. A pensarci, devo proprio a lui le mie prime “chiacchierate” con uno scrittore, le mie prime “presentazioni” di libri, le letture meticolose alla ricerca della domanda non banale, del passo emozionante, del verso che possa far emergere l’essenza dell’autore.

“L’ombelico della notte” è un prosimetro in cui le molteplici anime e i plurimi interessi di Renato Ferro si rincorrono tra le righe e i versi, pagine che si lasciano leggere di getto e che, solo all’apparenza slegate tra loro, con un gioco di rimandi e di allusioni, offrono in toto la poliedrica personalità dell’autore. Ai temi a lui da sempre cari, quali l’amicizia, gli affetti familiari, la sua terra, l’amore, la vita e la morte si affiancano acute riflessioni sulla nostra Italia.

Ogni pagina di questo libro, ogni verso in esso contenuto, trasmette al lettore una profonda emozione, infonde il desiderio di ascoltare Nat King Kole che canta “Mona Lisa”, le vibranti trombe di Armstrong e Chet Baker, “Rapsody in Blue” di George Gershwin…

La passione di Renato Ferro per gli indimenticabili maestri del cinema è nota a tutti coloro che, come me, hanno avuto il privilegio di conoscerlo, ed anche in quest’opera non mancano sentiti omaggi a Roberto Rossellini, “che coi suoi capolavori fece conoscere le “cose” di Italia, i martiri della resistenza, il sacrificio e la fede di gente dignitosa e sanguigna, ricca di fermenti, con lo sguardo rivolto al futuro dei propri figli”, Federico Fellini, “mirabile inventore di favole”, Angelopoulos, nella cui opera “assistiamo al trionfale riemergere di una cultura greca che le vicende storiche interne avevano oscurato dallo scenario europeo”.


Ogni pagina è incastonata in una cornice di raffinata e sensibile cultura, primum movens di questo viaggio del ricordo, della scoperta, della riflessione.
Disseminati all’interno di “L’ombelico della notte” i ritratti di grandi personalità, tratteggiati con mirabile incisività dall’autore: Allen Ginsberg (il cui lamento “è il lamento di Giobbe: tutto è stato creato per l’infelicità dell’uomo”), John Keats (per cui “la poesia è “rimembranza”, visione del tempo fuori dal tempo”), Giorgio Bocca (“ti accompagna morente la fierezza/di aver offerto idee, testimonianze,/conoscenze di fatti, convinzioni,/stimoli per battaglie civili,/la coscienza che c’è tanto da rifare”), Zanzotto (“il più grande poeta dopo Montale, capace di sentire i suoni dell’universo, di ascoltare la voce della luna, di guardare dietro il paesaggio, di evocarlo, di raccogliere musiche e trasformarle in parole da inviare al nostro pianeta, parole che solo pochi riescono a decifrare”), Antonio Tabucchi, giornalista e scrittore (“Agli interventi polemici di Tabucchi apparsi sulla rivista “Micromega” nei confronti del potere berlusconiano debbo la formazione di una carica civile che mi avrebbe fornito spunti per le mie considerazioni critiche”), Borges (“veggente, guru, maestro,/poesia suprema, meditazione,/nostalgia, magia, etica visione”), Miriam Mafai (“Fare i conti col passato senza sconti,/una vita vissuta ad occhi aperti/e nell’anima un soffio di allegria”), Maya Sansa (“Ancora non ci credo, “una rivelazione”/oggi “icona del cinema italiano”), Caproni (“Era un minatore che scavando/trova se stesso, il suo mondo,/l’io profondo”).


Lo spirito del pedagogo e l’esperienza dell’insegnamento riemergono di tanto in tanto, offrendo immagini amplificate dal ricordo (“Su e giù per la pagnotta”) o acute riflessioni sul ruolo e il profilo dell’insegnante nell’era tecnologica (“L’insegnante, un insostituibile”).

Per Renato Ferro la scrittura ha un potere taumaturgico, gli concede di liberarsi dei suoi demoni, di meditare sui grandi interrogativi esistenziali. Scrive: “Sono un bambino senza fate ed orchi,/coi suoi rimpianti, la sua nostalgia,/lo sguardo ai vetri, l’aria stralunata/e nell’anima un bisogno di poesia”.
La scrittura è sempre stata per te un’ancora di salvezza, una boa a cui aggrapparsi per resistere agli eventi che ci travolgono, improvvisi e violenti. Ti sei nutrito alla fonte della poesia come un naufrago assetato di vita. “Nell’epoca delle risposte urgenti la poesia è il mezzo più efficace per porre domande. I poeti diffondono inquietudini per le armi che hanno.

L’umanità non può vivere senza sogni e i cantori non hanno in tasca pistole, ma versi che bastano per seminare il panico. Sono bambini che ignorano la ragionevolezza della storia. La poesia è la migliore scuola di insicurezza che ci sia”, scrivi nella prefazione di una delle tue raccolte.
“Uomo schivo, essenziale, difficile, di poche parole, lo scrivere di Renato Ferro trasuda invece comunicatività innata fondata su una cultura senza orpello”, scrive di te il professore Felice De Martino, che ha saputo sapientemente sintetizzare l’essenza del tuo essere e della tua arte.

Anche oggi alzerò gli occhi verso quella finestra, per rispondere al tuo saluto, ma tu, da oggi, ti affacci su più ampi orizzonti e a noi rimane la consolazione dei tuoi versi.
Fa’ buon viaggio, cantore nostalgico di sogni e di epifanie!

AnnaMaria Petolicchio

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Una risposta

  1. Clara Rania ha detto:

    Ho percepito il dipinto letterario di questo “non solo poeta “nella dimensione spazio-tempo. Grazie.

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