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Il profiling dell’uomo maltrattante: chi è l’uomo violento?

I reati riguardanti i maltrattamenti in famiglia sono contemplati nell’art. 572 del codice penale, che recita: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.
La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato».

La legge n. 172/2012 ha introdotto delle modifiche all’art. 572 c.p., aggiungendo i conviventi tra i soggetti passivi del reato, inasprendo le pene ed estendendo, in tal modo, l’ambito di applicazione della fattispecie normativa ai rapporti connotati da relazioni intense e abituali, o anche di soggezione di una parte nei confronti dell’altra.
In riferimento alle norme summenzionate, bisogna rilevare che sono stati compiuti degli indubbi passi in avanti in merito al contrasto e alla repressione dei reati di maltrattamenti in famiglia. Tuttavia, risulta necessario mettere in gioco degli elementi chiave dell’analisi di tali fenomeni devianti. Alla base di alcuni reati vi sono vissuti ed esperienze di disagio, nonché di emarginazione: chi compie atti di maltrattamento sta “ripetendo” degli “atti” che ha già vissuto nel suo pregresso ambiente familiare.

Il soggetto maltrattante, cresciuto in un ambiente maschilista e socializzato alla violenza, sta semplicemente replicando tale modus operandi deviante.
Diventa, inoltre, palese lo scollamento tra la realtà chiusa che si cristallizza all’interno di una famiglia dove si verificano reati di maltrattamento ed una realtà sociale esterna che si fa portatrice di valori progressisti: in tal modo, i valori positivi che si producono nel substrato social-culturale esterno risultano inespressi all’interno dei nuclei familiari nei quali avvengono i maltrattamenti. Ma c’è di più: i fenomeni antisociali che si materializzano all’interno di “famiglie con problemi”, si esternalizzano nel tessuto sociale, formando uno spaccato di aggressività urbana.

Non si può tracciare un identikit onnicomprensivo del “tipo violento”, perché non esiste un profilo psicologico specifico dell’uomo maltrattante: possiamo, però, delineare alcuni fattori di rischio. Spesso gli uomini maltrattanti non presentano psicopatologie; essi, in genere, non hanno dipendenze riguardanti l’alcool, le droghe, il gioco d’azzardo o il sesso a pagamento. L’unico aspetto che accomuna gli uomini violenti è rappresentato dalla loro “mentalità”, retaggio di una cultura patriarcale: un muro quasi invalicabile che nel corso dei secoli ha incrementato maggiormente i gap di genere. Questi elementi di disparità sociale hanno favorito la materializzazione e la diffusione della violenza nei vari assetti interrelazionali. La violenza colpisce tutti i ceti economici ed è trasversale a tutte le fasce sociali e d’età. Essa può essere associata a disturbi di salute mentale ma resta principalmente un problema di natura culturale.

In che modo agiscono gli uomini maltrattanti?
Esistono alcuni segni indicatori che si devono considerare:
a) una manipolazione della realtà che gli offender riescono a mettere in atto;
b) la tendenza al vittimismo;
c) una gelosia ossessiva che in casi estremi può sfociare nei femminicidi.

A volte, tali soggetti abusano di alcool o di droghe e questo costituisce un fattore di rischio importante. Ulteriori indicatori di rischio sono rappresentati dal possesso di armi, da motivi legati a separazioni avvenute di recente, dall’avere avuto dei precedenti penali, ecc.
C’è bisogno di un’educazione ai sentimenti e alle emozioni, naturalmente accompagnata da un percorso di didattica sociale di genere e da normative sempre più incisive.

Simona Di Lucia

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Una risposta

  1. Antonio D'Amico ha detto:

    Articolo molto organico. Forse Simona, se vuoi arrivare ad un pubblico più vasto e popolare, ti converrebbe esplicitare con qualche esempio i concetti iniziali da “Diventa… ad Urbana”. Grazie.

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