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Il dialetto, un patrimonio da conservare

Il nostro cervello, già prima della nascita, è predisposto all’apprendimento di un numero infinito di lingue. Non conosciamo molto, dal punto di vista biologico, del complesso rapporto tra il linguaggio e il funzionamento delle aree deputate all’acquisizione delle competenze linguistiche, ma secondo alcuni studi – basati sull’osservazione indiretta delle esperienze umane- sappiamo che ci sono delle zone del cervello che influiscono sulla nostra capacità di sviluppare ed esprimerci attraverso il linguaggio.

Queste due aree, tra loro collegate, sono chiamate area di Broca e area di Wernicke. La prima rappresenta lo spazio, situato nell’emisfero sinistro, in cui si produce la parola e avviene la comprensione; essa, inoltre, è predisposta alla capacità di formulare frasi e discorsi attraverso l’elaborazione delle norme grammaticali. Infatti, un danno provocato a questa parte, si traduce nella difficoltà a formulare frasi con una struttura grammaticale complessa. L’area di Wernicke è legata alla comprensione del linguaggio scritto e parlato e influenza il rapporto tra significato e significante. Le persone che presentano lesioni o compromissioni di questa area manifestano difficoltà nell’attribuzione dei giusti significati alle parole, mantenendo la fluidità di linguaggio e la capacità di sostenere discorsi più strutturati anche se privi di significato.

La dimensione biologica da sola non basta per comprendere l’intreccio di tutti quei fattori -sociali, culturali, antropologici, sociologici- che caratterizzano il linguaggio e, più in generale, la comunicazione. Se da un lato, in quanto esseri umani- visto che il linguaggio è l’aspetto primario che ci distingue dagli animali- siamo in grado di apprendere più lingue a partire dalla più tenera età, dall’altro, ci devono essere delle condizioni favorevoli affinché siamo stimolati a sviluppare le competenze linguistiche. La capacità di parlare, di comprendere, e quindi di pensare, avviene all’interno di un contesto di relazioni che funge da stimolo allo sviluppo del patrimonio linguistico. Più siamo esposti a lingue differenti, più aumenta la nostra capacità di servirci di quelle lingue per esprimere noi stessi e il nostro modo di essere nel mondo.


Il linguaggio è un aspetto centrale dell’esistenza degli individui: attraverso le parole plasmiamo la realtà che ci circonda, costruiamo la nostra identità e definiamo il senso di appartenenza alla comunità in cui viviamo. Il linguaggio contribuisce alla creazione e all’interiorizzazione di “immagini del mondo”, ovvero modi di pensare e di agire che entrano a far parte dell’immaginario individuale e collettivo, orientando i nostri comportamenti e le categorie sociali e culturali. Viceversa, i cambiamenti che si verificano nella società influenzano il nostro modo di parlare e di nominare le cose e le persone con cui entriamo in relazione.

Questi due aspetti sono interrelati: l’ambiente in cui viviamo e cresciamo contribuisce alla costruzione della nostra visione del mondo,determina il nostro modo di parlare e di esprimerci e quante e quali lingue riusciamo ad imparare nei primi anni di vita.

In passato, nelle aree rurali e nei quartieri popolari, i bambini e le bambine crescevano in un ambiente in cui il dialetto era la prima lingua appresa in famiglia; soltanto a scuola imparavano l’italiano, che era invece maggiormente conosciuto da coloro che vivevano in condizioni più agiate. In molti casi, anche nelle famiglie povere, favorire l’italiano al dialetto non era un questione linguistica ma un modo per affermare l’elevazione sociale dei propri figli e per segnare una distinzione in termini generazionali. In questi contesti, chi preferiva parlare in italiano veniva accusato di snobbare e rinnegare le proprie radici, di vedere nel dialetto una lingua di cui vergognarsi.

Oggi, accanto al dialetto, che parliamo in famiglia, con i vicini di casa e gli amici, impariamo la lingua nazionale e, attraverso la scuola, ci avviciniamo alla conoscenza di altre lingue. Quindi possiamo affermare che, in linea di massima, cresciamo, almeno inizialmente, in un ambiente bilingue.

Il dialetto è parte della nostra identità, ci lega alla cultura del luogo in cui viviamo e alle sue tradizioni, crea quel senso di appartenenza e di riconoscimento che trova nella lingua il filo che collega passato, presente e futuro. Esso ha a che fare con un “luogo” non solo fisico, ma anche “mentale” perché ci riporta alle radici profonde del territorio che abitiamo e ci permette di conoscerlo sotto aspetti inediti.

Il dialetto cilentano fa parte dell’insieme dei dialetti meridionali italiani, anche se è difficile stabilire i confini linguistici a causa delle continue contaminazioni, sfumature, continuità fra gli stessi, quindi per comodità si preferisce una distinzione geografica in base ai territori in cui si parlano. Il dialetto cilentano si estende dal fiume Sele a Sapri, e presenta caratteristiche differenti fra le zone costiere, che, essendo più esposte ai traffici commerciali e agli scambi culturali ha storicamente risentito delle influenze esterne, e le zone interne, che hanno conservato un idioma più antico.

Alcuni studiosi praticano un’ulteriore distinzione fra il dialetto della parte settentrionale del Cilento, quindi più vicino agli influssi degli altri dialetti locali, e un dialetto più “meridionale”, meno interessato a queste contaminazioni. Come tutte le altre lingue, al giorno d’ oggi anche il dialetto va incontro ai cambiamenti che si verificano nella realtà e che hanno determinato la fuoriuscita da una dimensione “tradizionale” che si rifletteva nella lingua locale quale modalità espressiva esclusiva di un determinato periodo storico.

Le migrazioni, l’avvento dei nuovi media, la scolarizzazione e la diffusione della lingua italiana quale lingua parlata dalla maggioranza della popolazione, sono fenomeni che hanno avuto un impatto sugli idiomi locali ma non ne hanno decretato la scomparsa. Secondo alcuni studi e ricerche sul campo, i dialetti si evolvono e modificano nel corso del tempo e questo è segno della vitalità di una lingua. Una lingua che cambia è una lingua viva.

Negli ultimi anni è stato, però, evidenziato come esso venga sempre meno parlato dalle nuove generazioni e come in famiglia si usi parlare quotidianamente in italiano a causa di pregiudizi che associano il dialetto ad una lingua “volgare”, parlata dalle persone incolte o non scolarizzate. Per le persone bilingui, invece, il dialetto non è più considerato motivo di imbarazzo o un ostacolo all’affermazione del proprio status socio-culturale ma una ricchezza nel proprio repertorio linguistico. Secondo alcune ricerche, il bilinguismo rappresenta un valore fondamentale perché aumenta le capacità intellettive, rafforza la memoria e la concentrazione e attiva processi cognitivi che facilitano l’apprendimento di altre lingue straniere. In alcune regioni, quali la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino Alto Adige, lo studio degli idiomi locali è stato inserito nei programmi scolastici. Tutto ciò contribuisce a mantenere un forte senso di appartenenza e a promuovere e valorizzare le tradizioni e il patrimonio artistico e culturale del territorio.

Una delle cose da ricordare è che le lingue non si apprendono per sostituzione, una lingua che si aggiunge non cancella quelle che si sono già sedimentate nel nostro bagaglio di saperi, ma ognuna va ad arricchire le nostre capacità espressive. Chi ha avuto la possibilità di apprendere più lingue al di fuori della lingua nazionale è in grado di alternare vari registri linguistici e comprendere in quale contesto comunicativo è meglio usare il dialetto piuttosto che l’italiano, o mescolarli entrambi, è sinonimo di padronanza linguistica.

Ogni dialetto è un patrimonio da conservare perché fa parte della storia e della cultura di un territorio, serve a rafforzare i legami sociali e il sentimento di appartenenza alla propria terra. Anche sui social nascono gruppi e pagine in cui si condividono aneddoti, modi di dire, proverbi, ricette, esperienze di vita vissuta e storie scritte nel proprio dialetto locale. In questo caso, il dialetto serve a cementare rapporti umani e a mantenere viva la memoria di un luogo anche tra persone che hanno lasciato il territorio e sono emigrate altrove.

Il 17 gennaio 2013, inoltre, è stata istituita dall’Unione Nazional delle Pro Loco la giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali che, attraverso la promozione di varie iniziative e attività culturali, hanno lo scopo di salvaguardare e valorizzare tutti i dialetti perché, attraverso la tutela del patrimonio linguistico locale, possiamo tramandare la storia e le tradizioni del nostro territorio e riscoprire le nostre origini.

Claudia Alfano

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