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Storie di varia umanità: “Dammi la vita” di Letizia Vicidomini

Dopo la lunga pausa, dovuta agli intensi ritmi lavorativi, con grande entusiasmo e un po’ di emozione riprendiamo a curiosare tra gli scaffali della mia libreria, che per il nuovo anno è stata riorganizzata, disponendo i volumi in base alla mia personale predilezione per gli autori. In bellavista ci sono, tra gli altri, i libri di Letizia Vicidomini, brillante e pluripremiata scrittrice, narratrice eclettica e coinvolgente. Nei suoi scritti, l’autrice ci conduce in un viaggio che va oltre le storie narrate, che ci porta a guardare dentro di noi, a indagare quelle zone grigie, a mettere da parte i nostri pre-giudizi e lo fa attraverso una narrazione avvolgente, che ti cattura e ti appassiona.

L’ultimo romanzo, in ordine temporale, scritto dalla Vicidomini ed edito da Mursia, è “Dammi la vita. Partitura di sangue e note a Napoli”. Un noir polisensoriale in cui, sullo sfondo di una Napoli reale, che con i suoi scorci, i suoi vicoli degradati, le sue bellezze a cielo aperto diventa coprotagonista, si intrecciano due storie, una miriade di personaggi e molteplici tematiche.

Chi mi ha già letto sa che non amo raccontare la trama di un libro, preferisco che l’intreccio venga svelato al lettore pagina dopo pagina. Mi piace raccontarvi cosa mi ha colpito, quello che mi ha tenuta incollata alle pagine, senza riuscire a smettere di leggere e mi ha fatto provare un senso di smarrimento quando mi sono ritrovata all’Epilogo, e allora la foga si è tramutata in un centellinare ogni parola, ogni sillaba, ogni segno di interpunzione pur di prolungare il piacere della lettura.

Questo è l’effetto che ha su di me la scrittura della Vicidomini.

Ritorniamo a “Dammi la vita” e ad alcuni dei temi che vengono affrontati nel districarsi della vicenda e proviamo a farlo attraverso alcuni dei personaggi plasmati sapientemente dall’autrice. Il sistema dei personaggi viene costruito secondo uno schema duale in base al quale ciascuno ha un simile e/o un opposto. Una delle prime coppie di personaggi è costituita da Michele Loffredo e Andrea Martino. Commissario in attività il primo, suo ex superiore, ora a riposo, il secondo. Affini per senso del dovere, amore di giustizia e modus operandi, “Michele raccoglieva ogni parola e la soppesava, ne comprendeva il potere erosivo, valutava a sua volta, come era sicuro avesse già fatto l’ex capo prima di lui, pronto a tirare le somme e dare all’amico un parere equilibrato” (p.64). Andrea e Michele, così come Luisa e Rosanna, le loro rispettive consorti, abbiamo imparato a conoscerli e ad apprezzarli già in altre opere della nostra autrice. Andrea e Luisa “trascorrevano serate piacevoli, riempite da una routine serena che regalava gioia a tutti e due, soprattutto quando non dovevano occuparsi di figlia e nipoti, amatissimi ma spesso ingombranti” (p.22). Una coppia solida, che è riuscita a superare il dramma della perdita dell’adorato figlio Lorenzo rispettando il dolore altrui, gli spazi e i tempi del silenzio e della sofferenza. “Lui non avrebbe saputo spiegare come, ma in virtù di una specie di veggenza la sua donna sapeva sempre quando offrirgli supporto. Erano pochi i rapporti solidi come quello che avevano costruito loro due, in anni di laborioso sentimento” (p.213).

Diametralmente opposta la coppia costituita da Marlena Vichi, concentrato di sensualità e ambizione, musicista affermata e donna all’apparenza sicura di sé, e Marco Varriale, ex concertista, amante delle arzigogolate indagini dell’investigatore belga nato dalla penna di Agatha Christie. “Lei era materia incandescente, fuoco che bruciava, lo era sempre stata. Al principio della loro relazione il marito ne aveva apprezzato proprio queste caratteristiche, assecondandole e finendone travolto, ma quel tempo era passato. Ora Marco pareva ghiaccio, timoroso di accostarsi alla fiamma per non ridursi a rigagnolo, e per questo la consorte si era trovata a guardarsi intorno” (p.21).

Un’altra coppia di personaggi opposti è formata da Brunella, la tata di Aurora e Alba, che incarna quel profondo amore materno che travalica la genitorialità biologica, e Sofia, la matrigna di grimmiana memoria, arrampicatrice e arrivista.

Simili tra loro Marlena e Sofia, che volendo essere padrone del proprio destino si troveranno a perdere tutto, soprattutto, così concentrate su se stesse, a non scoprire mai il vero significato dell’amore.

Molti altri personaggi arricchiscono gli intrecci, che ci vengono presentati dall’autrice sia attraverso le loro azioni che, nelle pagine in corsivo, attraverso i loro pensieri più reconditi.

E intanto veniamo accompagnati in giro per Napoli, e così ci ritroviamo al Gambrinus, a sorseggiare un caffè con Marlena e Luciana, o a prendere un aperitivo al “Tempo del Vino e delle Rose”, lo splendido bistrot di piazza Dante; ammiriamo la Fontana dell’Immacolata e quella “delle zizze”; ci estasiamo percorrendo le sale del conservatorio di San Pietro a Majella…

E mentre percorriamo luoghi e spazi, vicende e intrecci, riecheggiano le note di “Donna Cuncè” dell’indimenticato Pino Daniele, di “Enjoy the silence” dei Depeche Mode, di “Un altro posto nel mondo” di Mario Venuti, di…beh, perché togliervi il gusto di scoprire l’eclettica Play List sapientemente stilata dall’autrice?

Letizia Vicidomini ha il potere di sollecitare tutti i nostri sensi, non ultimo il gusto: “Oggi pasta e cavolfiore, Tonino, alla maniera antica” (p.163); segue una ricetta così gustosa che, come all’affabile pizzicagnolo della storia, anche a me è venuta l’acquolina in bocca!

Storie profondamente umane, raccontate con grande passione, che ti irretiscono, perché, in fondo, “tutte le storie hanno in sé un seme di tragedia, parte di un bagaglio fatto di gioia, bellezza, passione, ma anche di angoscia e di rinuncia, tradimento e sconfitta. A volte, purtroppo, quel seme germoglia e fiorisce una pianta velenosa” (p.225).

“Forse il significato del nostro camminare sulla terra è proprio questo: puntare lo sguardo avanti, non solo su noi stessi, cercando di comprendere appieno il contributo che possiamo dare al meccanismo del quale facciamo parte. Non avulsi al tutto, ma un tutto nel tutto dell’universo” (p.240).

Grazie, Letizia. Non smettere di raccontarci le tue storie!

 

Annamaria Petolicchio

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