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Disfatta azzurra

La Nazionale italiana fallisce la qualificazione a Qatar 2022

Meno di nove mesi fa festeggiavamo la conquista dell’Europeo in casa dei favoriti inglesi ma sembra passato un secolo. Il gol al 92’ della Macedonia del Nord ci condanna – per la seconda volta di fila – ad assistere da spettatori alla rassegna calcistica più attesa e apre un lungo periodo di riflessione sul calcio nostrano. Come quattro anni fa, dopo la clamorosa eliminazione ad opera della Svezia, anche oggi si discute di rivoluzionare il “sistema calcio”, di rifondare i vivai, di valorizzare i giovani ecc ecc. Tutte questioni che periodicamente ritornano e che la dicono lunga sull’efficacia delle decisioni e delle politiche sportive attivate negli anni.

La crisi del nostro calcio è la crisi di un sistema anacronistico che parte da lontano. Le statistiche sono impietose: dopo il trionfo del mondiale del 2006 in due edizioni dei mondiali siamo stati eliminati nella fase a gironi (giocando in pratica tre gare) e nelle ultime due occasioni abbiamo fallito la qualificazione. Se prendiamo come termine di paragone le cinque edizioni dei mondiali successive all’altro trionfo azzurro dell’epoca moderna (Spagna ’82), in due occasioni, gli azzurri sono stati eliminati agli ottavi ma in due occasioni si sono piazzati fra le prime quattro classificate. Appare chiaro, dunque, che il nostro movimento è in declino tecnico ed organizzativo. Al netto della caccia al capro espiatorio –sport in cui il nostro Paese eccelle- per ripartire occorre individuare le cause di questa situazione.

Oggi la difficoltà a trovare elementi validi per la nostra nazionale di calcio è sintomatico di un sistema che non funziona a partire fin dalle categorie amatoriali e giovanili: violenza, eccessive pressioni da parte di genitori e presunti addetti ai lavori hanno progressivamente allontanato i ragazzi da questo mondo, diminuendo il bacino di partecipanti e di praticanti su cui costruire le squadre di ogni livello. Un effetto domino che si riverbera negli anni e fino alla nazionale maggiore.

Il finto problema dell’eccessivo numero di calciatori stranieri nei nostri campionati rappresenta, da un lato la traduzione del populismo che imperversa in ogni settore della nostra società, dall’altro la soluzione troppo facile (e perciò fallace) di un problema assai complesso.

In un mondo globalizzato come il nostro è davvero pensabile di mettere un numero chiuso di calciatori non italiani tesserabili? Più che di riforme spot occorre una visione complessiva nuova a partire dalla base fino ai massimi organi federali che si sostanzi in una politica sportiva innovativa e consapevole anche delle finalità sociali che il calcio riveste nel nostro Paese.

Francesco Di Tommaso

 

 

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