La caccia alla quaglia
Nel nostro viaggio attraverso il Cilento, nella puntata odierna, ci occupiamo anche di caccia, precisamente quella in spiaggia, vittime le quaglie provenienti dall’Africa. Questa attività che da animalista trovo difficoltà a considerare sportiva non ha subito battute d’arresto dai tempi di Ramage ad oggi. Nei miei ricordi da bambino mi viene alla mente il rito di confezionamento delle cartucce che, al contrario di oggi dove sul mercato si trovano già pronte, venivano realizzate partendo da materiali semilavorati ed assemblati. In questo modo la cartuccia poteva essere riutilizzata. Una piccola morsa tratteneva la cartuccia dove precedentemente era stato installato il detonatore, e veniva riempita di polvere da sparo, poi dischetto di carta, poi pallini – nella misura giusta per peso e forma a seconda dell’animale da cacciare – di nuovo dischetto coprente e chiusura con un piccolo macchinario che rivoltava verso l’interno il bordo della cartuccia. Espletato questo rito si partiva per la caccia, appostati dietro siepi o costruendo dei ripari chiamati “ Uacciarole”. Nel periodo di migrazione ogni buon cacciatore portava a casa un bottino consistente. Non ho mai capito, pur avendo visto di persona l’entusiasmo e la convita partecipazione dei cacciatori, che senso avesse tutto questo. La deliberata uccisione di animaletti indifesi senza reale necessità di sfamarsi rimane sempre uno dei limiti che il genere umano non vuole sperare. Ad ogni buon conto leggiamo quanto riportato da Ramage in veste di provetto cacciatore
“………Il mio ospite ed io ci siamo alzati prima dell’alba e ci siamo diretti verso la spiaggia per partecipare, diciamo cosi, ad una spedizione sportiva. Avevo osservato ieri, delle reti tese ad alcuni pali, piantati a distanza l’uno dall’altro; pensavo che le reti fossero state disposte così ad asciugare, cosa che mi era sembrata una gran perdita di tempo. Ho scoperto poi che andavano sistemate in quel modo per catturare le quaglie, che in gran numero giungono dall’Africa in questa stagione. Poiché queste bestiole ci vedono poco e sono affaticate per il lungo viaggio, incappano nelle reti e vengono finite a fucilate, oppure restano impigliate nelle maglie e poi vengono catturate con le mani. Sono ottime da mangiare, e avevo già avuto modo di gustarle a Napoli e ho capito che qui, da quanto assicuravano i miei amici, sono considerate un piatto prelibato. Riderai quanto ti dirò che mi avevano fornito di un gran fucile, proprio a me che non ho mai preso in mano arma più pericolosa di un piccolo fucile di legno per bambini: ma temendo di perdere la stima dei miei nuovi amici, confessando loro la mia incompetenza in materia, decisi di essere estremamente prudente nel puntare la mia arma, e di non aver nessuna fretta di usarla. Giungendo alla spiaggia trovammo i servi che erano già lì di guardia e fummo collocati in luoghi diversi, in modo da tenere sotto mira una amplissima parte di spiaggia. Puoi stare tranquillo che io scelsi il punto più distante, per far in modo che, se il piombo del mio schioppo non avesse colpito gli uccelli (cosa assai improbabile), per lo meno, non arrecasse danno a nessuno……..”
Nel proseguire il viaggio, avendomi assunto il compito di incuriosire i lettori ma di non divulgare troppi contenuti del libro, Ramage incontra un uomo che poi avrà un ruolo nel movimento insurrezionale dell’epoca. La rivolta del Cilento del 1828 oltre ad una illusione costituzionalista che vide contrapporti tanti giovani intellettuali del Cilento ai Borboni, repressa in un bagno di sangue, ha visto azzerarsi una classe dirigente che nel loro grido di libertà sintetizzava valori per i quali ancora oggi la gente muore invasa e soppressa dal dittatore di turno. E’ facile accostare questi movimenti rivoluzionari allo spirito eroico degli Ucraini, un popolo a cui va il nostro rispetto e la nostra fratellanza, uomini e donne che combattono fieri per la loro libertà.
Torniamo al 1828 per ricordare che, nella potente repressione borbonica, persero la vita uomini come Giovanni De Luca canonico, capo della setta filadelfi del Cilento; Carlo da Celle frate cappuccino, nipote del canonico, carbonaro: tradì lo zio e gli altri filadelfi, ma non fu risparmiato; Teodosio De Dominicis, capo della setta dei Pellegrini Bianchi; nella sentenza gli si rimprovera anche che “Ebbe un abboccamento con uno straniero, finora ignoto“: questi era il nostro viaggiatore scozzese Craufurd Tait Ramage che, nel suo libro pubblicato quarant’anni dopo, parla con benevolenza di lui, incontrato per caso, e afferma di non essersi occupato di questioni politiche italiane; ho estratto dal viaggio il brano in cui avviene l’incontro tra Ramage e il De Dominicis.
“…..Volli tornare ancora una volta a visitare le rovine di Velia, perché il mio amico antiquario, incontrato ieri sera, si era offerto di accompagnarmi e di illustrarmi tutte le notizie che egli aveva potuto raccogliere riguardo a quest’ultime. Fummo raggiunti presso le rovine da un signore a cavallo che, come venni a sapere, era il proprietario di quelle terre e si chiamava Don Teodosio De Dominicis. ( Sulle conseguenze dell’incontro, spiato dalla polizia, tra Ramage ed il De Dominicis, oppositore politico dei Borbone e capo della setta dei Pellegrini Bianchi, si veda: G. Galzerano, Le memorie di A. Gallotti, Galzerano, Casalvelino 1998, pp. 86-87 e sgg.; pp. 144-45). Questi mi confermò che molte tombe erano state aperte, ed all’interno di esse erano stati rinvenuti braccialetti, monete, piccole immagini, ed urne cinerarie, ma lui, a quanto mi risulta, non è in possesso di nessuno di questi oggetti. Il governo s’impadronisce di tutto ciò che viene trovato nel corso degli scavi, e ciò rende i proprietari estremamente attenti nel rivelare l’esistenza di simili tesori nelle nostre terre. Inoltre, dato che a Napoli vi è sempre una richiesta di oggetti antichi – dove addirittura prospera il commercio di pezzi falsi, fabbricati di sana pianta – è assai probabile che molti proprietari, rinvenendo simili oggetti li rivendano su quel mercato…..”
Dalle parole del nostro viaggiatore apprendiamo che la spoliazione delle tombe dell’antica Velia è iniziata molto prima di quanto pensassimo e che il lavoro condotto con grande competenza e passione dall’archeologo Mario Napoli è iniziato nella cittadina greca quando buona parte dei reperti erano già stati trafugati. Un danno enorme per l’area archeologica e per la possibilità di realizzare in loco un museo di ampie dimensioni, richiamo per un turismo di qualità mai concretizzato ad Asce Marina a scapito di un chiassoso turismo balneare che non solo non ha potuto arricchire la cittadina di cultura ma ha prodotto un devastante scempio del magnifico litorale. Ci auguriamo che amministrazioni pubbliche più accorte sappiano nel futuro tutelare e valorizzare quanto è rimasto con l’umiltà di misurarsi con la scuola eleatica ancora oggi famosa in tutto il mondo.