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Le cinque rose di Jennifer: il volto teatrale della sofferenza umana

Essere noi stessi, armeggiare con le nostre paure e le nostre personalità è la sfida più grande di tutti i
tempi. Mercoledì 22 Marzo, al Teatro De Filippo di Agropoli, è andato in scena uno spettacolo che ha
favorevolmente colpito il pubblico per la veridicità della rappresentazione delle fragilità umane, il
settimo della settima stagione teatrale, diretta da Pierluigi Iorio, che si aggiunge, così, a un cartellone
che ha registrato successo di pubblico e di critica. Un ulteriore sprono per continuare a proporre alla
comunità un’offerta teatrale varia e completa, per generi e linguaggi.
“Le cinque rose di Jennifer”, opera prima di Annibale Ruccello per la regia di Gabriele Russo, è ambientato nella Napoli della fine degli anni’70, con le musiche di Mina e Patty Pravo come sottofondo
alle vicende della protagonista Jennifer, che, in scena, ci mostra cosa vuol dire essere donna in un corpo di uomo. In un appartamento disordinato e un po’ in penombra, grazie alla scenografia di Lucia Imperato, assistiamo alla trasformazione di Daniele Russo in Jennifer. È un passaggio reale e vivo che, da subito, mostra al pubblico cosa vuol dire modificare il proprio aspetto, spogliarsi degli abiti da uomo, indossare indumenti eccentrici, guardarsi allo specchio e truccarsi fino a diventare donna, esagerare in tutto per coprire con l’ eccesso la disperazione di non essere a proprio agio in quel corpo da uomo. E così Daniele Russo ci abitua alla conoscenza di Jennifer che trascorre le sue serate, da sola, attendendo la telefonata di un uomo, in compagnia di una radio che trasmette canzoni e la informa sugli eventi esterni. Per la stanza, come un’ombra, si aggira una presenza non precisata, interpretata da Sergio Del Prete, rappresentazione fisica della solitudine di Jennifer. Ad un primo sguardo si potrebbe credere che sia semplicemente la storia della solitudine di una diversità, di un uomo innamorato di un altro uomo, costretto a fingere di essere donna. In realtà il testo va ben oltre gli stereotipi, Jennifer è un personaggio ricco di sfaccettature. Daniele Russo, vincitore del Premio le Maschere del Teatro Italiano 2021 come Miglior Attore Protagonista, riesce ad evidenziarne la schizzofrenia, intesa come il passaggio repentino da uno stato d’animo all’altro, sa coglierne le fragilità più recondite, la difficoltà a rapportarsi con il resto del mondo, persino l’incomunicabilità con Anna, l’ombra che diventa personaggio, interpretata da
Sergio Del Prete. Quell’ombra della solitudine che smette di stare in silenzio e diventa un interlocutore
in carne e ossa, un altro uomo che finge di essere donna e che, pur facendo i conti con la solitudine, ha
trovato un palliativo nella compagnia di un gatto. Ma nemmeno questo può colmare il vuoto di Jennifer,
lei non può occuparsi di un altro essere vivente perché, in fondo, non sa prendersi cura nemmeno di se
stessa. Jennifer è in continua lotta con il telefono, con la radio, con Franco che non chiama, con le
interferenze dei vicini. Nel colloquio tra le due donne traspare tutta la disperazione di dover recitare
ogni giorno una parte, far finta di farsi carico dei problemi delle donne: il ciclo, la famiglia, i mariti
distratti, i figli lontani. La vita di Jennifer è un continuo tormento tra ciò che è in realtà, ciò che vorrebbe
essere e l’immagine da dare agli altri. È una guerra interiore senza uguali di cui Daniele Russo si fa carico
con un’interpretazione intensa che rimane impressa anche nei giorni successivi allo spettacolo. In scena
non c’è solo Jennifer, ci siamo tutti noi con le nostre insicurezze, i nostri sogni, le nostre attese, le nostre
incolmabili vite. Un dubbio che ci accompagna per tutto lo spettacolo riguarda l’assassino che si aggira
nel quartiere. È davvero un killer in carne e ossa, è la solitudine che serpeggia in queste anime stremate
dalle loro lotte o è la stessa Jennifer sopraffatta dalla disperazione? È un quesito che rimarrà lì sul palco
accanto al corpo esanime di Jennifer, circondato dalle sue cinque rose rosse di solitudine, arma e ristoro
della sua disperazione.

Barbara Maurano

 

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