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Giotto e la Cappella degli Scrovegni: la Bibbia dei poveri

Nel 1300, a Padova, il ricchissimo banchiere Enrico Scrovegni acquistò un terreno sul sito dell’antico anfiteatro romano, per edificarvi, tra il 1302 e il 1303, un piccolo ambiente a una sola navata, inizialmente dedicato a Santa Maria della Carità e poi chiamato Cappella degli Scrovegni. La cappella, privata ma aperta al pubblico, era, in origine, collegata al Palazzo degli Scrovegni, abbattuto nel 1827. Oggi risulta, invece, isolata. Enrico aveva ereditato una immensa fortuna ma anche una pessima fama. Suo padre Rinaldo, “prestatore”, all’epoca considerato usuraio, era finito nell’Inferno dantesco. La costruzione della cappella, di fatto una piccola e preziosa chiesa cittadina, gli serviva a ripulire la sua immagine di famiglia e a presentarsi come un nobile, e soprattutto devotissimo, cavaliere benefattore. Nel 1303, Enrico chiese a Giotto, ormai quarantenne e all’apice della sua fama, di affrescare la cappella.
La decorazione pittorica della Cappella degli Scrovegni è veramente grandiosa. Giotto scelse di ricoprire l’intera superficie muraria con un vasto e articolato ciclo di affreschi, secondo un programma assai complesso.

Il ciclo pittorico ha inizio dalla lunetta in alto sull’Arco Trionfale, quando Dio decide la riconciliazione con l’umanità affidando all’arcangelo Gabriele il compito di cancellare la colpa di Adamo con il sacrificio di suo figlio fatto uomo. Prosegue con le Storie di Gioacchino ed Anna (primo registro, parete sud), le Storie di Maria (primo registro, parete nord), ripassa sull’Arco Trionfale con le scene dell’Annunciazione e della Visitazione, cui seguono le Storie di Cristo (secondo registro, pareti sud e nord), che continuano, dopo un passaggio sull’Arco Trionfale (Tradimento di Giuda), sul terzo registro, pareti sud e nord. L’ultimo riquadro della Storia Sacra è la Pentecoste. Subito sotto si apre il quarto registro con i monocromi dei vizi (parete nord) e i monocromi delle virtù (parete sud). La parete ovest (o controfacciata) reca il grandioso Giudizio Universale.

A Giotto venne affidato il compito di raffigurare una sequenza di storie tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento che culminavano nella morte e resurrezione del Figlio di Dio e nel Giudizio Universale, allo scopo di sollecitare chi entrava nella Cappella a rimeditare sul suo sacrificio per la salvezza dell’umanità.
Il racconto inizia con Gioacchino cacciato dal tempio e prosegue con andamento a spirale fino al riquadro del Giudizio Universale, in cui al centro compare ritratto lo Scrovegni mentre offre a Cristo in gloria la cappella.

Il ciclo di Giotto agli Scrovegni costituisce il più alto capolavoro del pittore e della storia dell’arte occidentale, pari solamente alla Cappella Sistina di Michelangelo in Roma.
Con quest’opera Giotto inizia una nuova era nella storia della pittura, superando l’astrazione formale della corrente bizantina allora dominante, per proporre forme umane più naturali e realistiche e per questo fu definito anche il primo pittore moderno.

Un affresco da leggere come le pagine di un libro. L’affresco della Cappella degli Scrovegni va letto in senso specifico. Inizia raccontando la storia di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, passando poi alla vita di Maria e a quella di Gesù, dal Battesimo alla Passione e alla Risurrezione, fino ad arrivare al Giudizio Universale. Il tutto culmina poi, in alto, nel bellissimo soffitto azzurro ricco di stelle.
Gli affreschi della Cappella vanno letti da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso. L’opera che Giotto realizza è infatti una narrazione rivolta a tutti, religiosi, nobili ma anche al popolo, perché parla di concetti religiosi complessi ma li semplifica, sfruttando in modo sapiente le espressioni disegnate sul volto dei protagonisti degli affreschi, che esprimono emozioni universali come gioia, rabbia e paura.
Questa sensibilità è ben rappresentata nella contemplazione dei misteri del Triduo Pasquale e della Pasqua del Signore. Un esempio unico nell’arte cristiana. Una narrazione semplice, che cela significati profondi.

L’arte secondo tale concezione è intesa come diaconia, servizio ministero: essa è “la Bibbia dei Poveri”, perché “la povera gente non sa leggere o scrivere, ma solo guardare”. Ecco perché Giotto continua a toccare le corde più intime dei sentimenti.
“Tre sono le scritture, una mentale, una verbale, una figurale di grazia. Una nel cuore, una nella parola, una nell’esemplare, dipinto o rivelato. Veggendolo spesso coll’occhio corporale, el mostrarai all’occhio mentale di dentro, e spesso e spesso el nominerai per riverenza, per amore, per fede”. Bernardino da Siena nelle prediche volgari, Firenze 1424.
La volontà di Bernardino nel predicare era innanzitutto di essere inteso da tutti. Ma le parole qualche volta non bastavano e così nelle sue predicazioni egli amava far riferimento a immagini, a quadri e affreschi.
Giotto negli affreschi della Cappella degli Scrovegni riesce a rappresentare in modo semplice le Sacre scritture rendendole fruibili a chiunque.

Mariaconsiglia Di Concilio.

 

 

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