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Ricordiamo il passato perché abbiamo a cuore il futuro

In occasione dell’Ottantesimo anniversario, Roma Capitale commemora il rastrellamento del 16 ottobre 1943 con numerosi eventi e iniziative e con una campagna di comunicazione, ideata dalla Direzione Comunicazione Istituzionale di Roma Capitale, per sensibilizzare i cittadini sull’importanza di tenere viva la memoria di quei giorni: “Ricordiamo il passato perché abbiamo a cuore il futuro”.

L’antico Ghetto di Roma è situato all’interno del Rione XI – Sant’Angelo, ed è uno dei tesori nascosti della Capitale, un piccolo quartiere ricco di testimonianze archeologiche e culturali, oltre che religiose, ma anche di ricercatezze e specialità culinarie che hanno ispirato in maniera significativa la cucina tradizionale romanesca. Considerato tra i più antichi al mondo – è secondo solo a quello di Venezia (1516) – il Ghetto di Roma nasce nel 1555 su ordine di papa Paolo IV. Le persone al suo interno avevano l’obbligo di risiedervi e di portare sempre con sé un segno distintivo di appartenenza alla comunità ebraica. Inoltre, era loro proibito di commerciare e di possedere beni immobili. Nel corso della sua storia, il Ghetto fu più volte dismesso, ma si trattò spesso di brevi periodi, ai quali seguirono nuove reclusioni, fino ad arrivare al 1870, con la breccia di Porta Pia e la fine del dominio papale, anno in cui fu definitivamente chiuso. Nel 1904, venne inaugurato il Tempio Maggiore, la grande Sinagoga, punto di riferimento culturale per l’intera comunità ebraica e, ancora oggi, insieme al Museo Ebraico ospitato al suo interno, una delle principali attrazioni della zona.

Tra i monumenti di maggior interesse dell’area ci sono il Portico d’Ottavia, la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, così chiamata perché ricavata all’interno dell’antico mercato del pesce edificato sui resti del Portico d’Ottavia, la casa di Lorenzo Manilio, la Chiesa di San Gregorio in Divina Pietà, intitolata a Papa Gregorio Magno che garantì la libertà di culto agli ebrei già nel ‘500, il Pons Judaeroum, il Ponte dei Quattro Capi, che collega il ghetto ebraico all’Isola Tiberina, la Chiesa di Santa Maria in Campitelli, luogo di preghiera durante la Seconda Guerra Mondiale e la bellissima Fontana delle Tartarughe, firmata anche da Bernini.

Il Ghetto è anche il luogo della persecuzione nazifascista che culminò il 16 ottobre 1943, giorno in cui ebbe luogo il più grande rastrellamento di ebrei della storia. I nomi dei deportati nei campi di sterminio nazisti sono stati impressi nelle Memorie d’inciampo, un sampietrino ricoperto da una lastra in ottone su cui è indicato nome e cognome di chi non è mai tornato. Piccole testimonianze per non dimenticare. L’otto settembre 1943 viene reso pubblico l’armistizio tra l’Italia e le forze alleate. Il generale Pietro Badoglio (capo del governo dal 25 luglio del 1943 al 17 aprile 1944) e il re d’Italia Vittorio Emanuele III fuggono a Brindisi, lasciando nelle mani dei tedeschi il nord e il centro Italia. Nasce la R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana) con a capo Benito Mussolini ma sotto controllo nazista e con sede a Salò sul lago di Garda; istituendo il servizio militare obbligatorio, molti non si presentano alla chiamata della leva militare, si danno alla macchia e si contrappongono all’occupazione nazi-fascista con i partigiani.

Questi avvenimenti portano al disfacimento dell’esercito italiano e alla divisione dell’Italia in due.

Nei territori italiani occupati dai tedeschi si scatena una vera e propria caccia al giudeo: i nazi-fascisti iniziano ad arrestare e a deportare cittadini ebrei, civili e oppositori del regime grazie all’aiuto di delatori.

Il 26 settembre 1943 i rappresentanti della comunità ebraica di Roma furono convocati al comando della Gestapo a Roma, dove il maggiore delle SS Herbert Kappler informò loro che in trentasei ore l’intera comunità ebraica avrebbe dovuto raccogliere e consegnare cinquanta chili d’oro. In caso contrario, duecento capi famiglia sarebbero stati prelevati dalle loro abitazioni e deportati nei campi di lavoro in Germania. Gli ebrei romani versarono solamente beni in oro, in prevalenza componenti di bigiotteria e oggettistica religiosa in quanto era impossibile versare contributi in denaro. Anche molti cittadini romani contribuirono versando alcuni piccoli oggetti in oro e, dopo una proroga di quattro ore la cifra di oro prestabilita era stata raggiunta e superata. I 50 chili d’oro furono raccolti in dieci raccoglitori di cartone e consegnati alle SS. Kappler fece pesare due volte l’oro che raggiungeva un peso di cinquanta chili e trecento grammi. Il tutto fu inviato a Berlino.  Le SS non contente decisero allora di occupare gli uffici della comunità ebraica, inoltre distrussero la biblioteca e rubarono materiali di grandissimo valore storico, culturale e scientifico. A questo punto gli ebrei romani si erano illusi di aver superato ogni pericolo, ma i nazisti avevano altri piani per loro. Infatti la sera del 15 ottobre giunse a Roma da nord un reparto specializzato di SS con l’ordine di arrestare e deportare ottomila ebrei. All’alba di sabato 16 ottobre, precisamente alle 5.30 del mattino, ebbe inizio l’operazione di liquidazione del ghetto. Le SS invasero e setacciarono le vie del quartiere ebraico.  Il censimento degli ebrei italiani avvenuto sotto il regime fascista nel 1929 aiutò ad individuare  le famiglie da arrestare. A ognuna di queste veniva consegnato un foglio con indicazioni precise:     

1) Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti.

2) Bisogna portare con sé:

  1. a) viveri per almeno 8 giorni
  2. b) tessere annonarie
  3. c) carte d’identità
  4. d) bicchieri

3) Si può portare via:

  1. a) valigetta con effetti e biancheria personali coperte ecc
  2. b) denaro e gioielli

4) Chiudere a chiave l’appartamento, risp. la casa e prendere con sé le chiavi

5) Ammalati anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermiera si trova nel campo.

6) Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza.

Intorno alle 14.00 del pomeriggio il rastrellamento cessò. In 1259, tra questi 689 donne, 207 bambini e 363 uomini, furono radunati davanti al portico d’Ottavia,caricati su dei camioncini e trasportati sino al collegio militare dove rimasero per due giorni. Qui grazie all’aiuto di Arminio Wachsberger (interprete delle SS) 237 persone furono rilasciate dalle SS in quanto cattolici e misti.

Il 18 ottobre alle 14.05 un convoglio composto da 12 vagoni bestiame partì dalla Tiburtina. Dei 1259 ebrei arrestati il 16 ottobre partirono in 1022: questo fu il primo trasporto italiano partito verso i lager nazisti.

Il convoglio arrivò a destinazione intorno alle 23.00 del 22 ottobre. I deportati furono scaricati a 800 metri da Birkenau sulla Judenrampe (rampa di “scarico” dei convogli attiva dal 42′ al maggio del 44′ quando a causa dell’operazione Ungheria la linea ferroviaria fu ampliata fino a entrare nel campo di Birkenau per rendere piú veloce la liquidazione dei trasporti di massa provenienti dall’Ungheria), all’alba del 23 ottobre. Superarono la prima selezione 47 donne e 154 uomini, la maggioranza delle persone fu caricata su dei camioncini e trasportata sino agli impianti di messa a morte. Gli uomini giudicati abili al lavoro dovettero camminare 3 chilometri per raggiungere il campo di Auschwitz I, mentre le donne entrarono a Birkenau.

Solo in sedici sopravvissero, 15 uomini e una donna.

Come ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del 75esimo anniversario del rastrellamento degli ebrei a Roma:

“Il 16 ottobre 1943 fu un sabato di orrore, da cui originò una scia ancor più straziante di disperazione e morte: la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma costituisce una ferita insanabile non solo per la comunità tragicamente violata, ma per l’intero popolo italiano. Quell’episodio fu l’inizio anche in Italia, favorita dalle leggi raziali varate dal regime fascista, di una caccia spietata che non risparmiò donne e bambini, anziani e malati, adulti di ogni età e condizione, messi all’indice solo per infame odio… Davanti all’Olocausto, abisso della Storia, torniamo ad inchinarci. Il ricordo non può non fermarsi sui duecento ragazzi, strappati quella mattina di ottobre dalle loro case, attorno al Portico d’Ottavia: nessuno di loro riuscì a sopravvivere e a fare ritorno nella terra dei loro padri e dei loro giochi. Le lezioni più tragiche della storia vanno richiamate alla conoscenza e alla riflessione delle giovani generazioni, affinchè, nel dialogo, cresca la consapevolezza del bene comune. Il sacrificio, la tribolazione, il martirio di tanti innocenti, è un monito permanente alla nostra civiltà, che si è ricostruita promettendo solennemente “mai più” e, tuttavia, ogni giorno è chiamata ad operare per svuotare i depositi di intolleranza, per frenare le tentazioni di sopraffazione, per affermare il principio dell’eguaglianza delle persone e del rispetto delle convinzioni di ciascuno”.

 

Mariaconsiglia Di Concilio

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